Franca Valeri, maestra di tutte noi, entra in scena all’inizio dello spettacolo.
Cammina barcollante verso il divano, costretta in un severo cappottino scuro.
Si siede, sfila le scarpe a tacco basso di vernice nera, una dopo l’altra, lentamente e silenziosamente, poi con voce tagliente scandisce : “Funerali.. basta!”
È senza dubbio una delle battute teatrali che mi ha fatto più ridere.
Ed è, senza alcun dubbio, il pensiero ricorrente dopo che ho partecipato alle esequie di un caro o di un non-caro.
Eh già, non sono solo i migliori ad andarsene, anche i peggiori lo fanno.
Quando qualcuno non mi è piaciuto in vita, seguita a non piacermi anche da morto. Nemmeno la morte salva uno stronzo da esserlo stato. Personalmente conto molto sull’antica convinzione antroposofica che l’anima del defunto rimane in un limbo per tre giorni, assistendo alla dipartita dell’anima dal corpo, ai parenti che piangono, alle bare che si chiudono e a quelli come me che seguitano a pensare, pur senza livore, che il dipartito sia stato, se lo è stato, una brutta persona. È bene che lo sappia, cosicché nella prossima vita possa porre rimedio e comunque gli dò qualcosa a cui pensare nell’aldilà, dove il tempo per riflettere non manca.
Pur lamentandomene, i funerali mi piacciono. Mi piace il fatto acustico che si crea.
Qualcosa di simile al suono degli strumenti che si accordano prima che inizi un concerto.
Tutti bisbigliano, le esse sibilano, le vocali spariscono. Serpeggiano segreti finalmente confessabili, punti di vista, aneddoti amorevoli e cattiverie, il tutto coperto col velo nero del perdono post mortem.
I funerali servono per salutare i morti e ricordarci quanto i vivi siano spesso pessimi.
Mia nonna Tolo sosteneva che ai funerali si possa sorridere quando si saluta, ma non baciarsi.
Non mettersi gli occhiali scuri e prendersi la responsabilità delle proprie lacrime. Asseriva che non si mettono gioielli, mai, nemmeno quando se ne ha voglia. Fatta eccezione delle donne di Capri che possono indossare il corallo, privilegio degli attori e degli zingari. Non so come le fosse giunta questa informazione che, anche se fosse inventata, trovo ragionevole e poetica.
La Nonna usava spesso i funerali come scusa per declinare inviti fatti con troppo anticipo.
“Cara Ginevra (nonna Tolo) Mi farebbe piacere che venissi a cena il mese prossimo…”
“Sono desolata, ma sarò a un funerale”
Mi sorella minore Clarice non ha mai partecipato ad un funerale. “Sono troppo emotiva”, sosteneva con tono mieloso…
Clarice morì in un incidente aereo e il corpo non fu mai ritrovato, frantumato dalla violenta esplosione.
Riuscì a non andare nemmeno al proprio funerale… la forza della convinzione.
Dunque, funerale del mafioso a Roma.
Ne parlo solo adesso perché a caldo sarei stata solo capace di insulti.
Ho maturato un pensiero crudele quanto sereno e vorrei condividerlo con voi.
Io adesso penso, che il signor mafioso ha fatto proprio bene ad esporsi così. Ha fatto bene perché ha perso. Le sue genti hanno assistito a un fallimento. Gli insulti, lo schifo espresso, il disgusto planetario, che approvo, hanno duramente “insultato la memoria” di quel farabutto.
Serviva un’ occasione mediatica per ricordare visivamente l’orrore di queste genti e loro stessi ce l’hanno servita su un piatto d’argento, anzi di latta, placcato oro.
Lo Stato. Che doveva fare lo Stato? Non è un reato gettare petali, usare un carro trainato da cavalli, scegliere una musica ben scritta, appendere manifesti celebrativi sulle facciate della Chiesa… Non credo vi fossero le condizioni legislative per impedire una cerimonia colma di orride allusioni. Va bene, fatelo, così che possiamo sputtanarvi e il mondo intero sappia (e soprattutto veda) quanta volgarità produce chi genera dolore…
Se avessi il privilegio di essere letta dai familiari di questo criminale, vorrei consigliare loro di visitare il
Pantheon, che è un edificio di epoca romana che si trova a Roma, appunto. Entrando sulla sinistra c’è la tomba di un pittore che si chiamava Raffaello Sanzio. Vi sono sempre dei fiori su quella lapide, dopo 5 secoli dalla sua morte.
Quei fiori sono il segno della riconoscenza che l’umanità esprime a un artista che ha prodotto una cosa a lor signori sconosciuta: la bellezza.
Cari organizzatori di matrimoni circensi e mafiosi, l’anima di Raffello Sanzio è da cinquecento anni scaldata da rose colme d’amore, l’anima del vostro defunto è ricoperta da insulti.
Avete fallito, sotterrando il vostro defunto nel dovuto disprezzo e condannandolo al disonore.
Ma consolatevi, gli insulti non dureranno cinquecento anni, fra un pò nessuno si ricorderà di questo “signore”.
Infine.
Esistono le buon’anime e le cattiv’anime. Auguro a questa di riuscire a capire quanta bruttezza ha prodotto in vita, magari nella prossima sarà un pittore sublime.
PS: A proposito di funerali: toglierò il saluto a chiunque pianga al mio.
La Signora Foer ha avuto una vita bella, quindi: fatevi belli, pensate cose belle, indossate gioielli (anche brutti), cantate belle canzoni e fatevi belle risate. Parlate a voce alta, baciatevi, abbracciatevi e non sprecate soldi in fiori…dateli a coloro a cui servono o investiteli in una Supersera in mia memoria. È un ordine. Grazie.
Fonte: Words in Freedom