Un matrimonio senza nome

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Un matrimonio senza nome

Adoro ricevere domande dirette e fulminee.
Alle quali mi piacerebbe rispondere con lo stesso vigore.
Questo è uno di quei casi in cui mi è impossibile.
“Drusilla ma secondo te due uomini che si sposano si uniscono in “matrimonio”? O dovremmo cercare un termine meno catto-riferito”
Che domanda. Che bella domanda.

D’istinto, avendo più simpatia per i contenuti che per la forma linguistica, riponderei: “certo!”
Chi se ne frega (sempre d’istinto), l’importante è che l’unione fra due persone sia un atto libero e che possiamo tutti avere la libertà di scegliere.
Il garante della nostra libertà è lo Stato, che deve svincolarsi dalla vanità della politica in cerca di approvazione e di voti e dalla gogna cultural-spirituale della Chiesa, dalla quale non attendo alcun tipo di approvazione in merito. Siamo uno stato Laico ed è la struttura Laica dello Stato che deve metterci nelle condizioni di una scelta libera.
La L maiuscola alla parola Laico non è un refuso. Sia chiaro.
Comunque mi piace anche pensare che le parole abbiano un valore, quindi afferro il De Voto Oli.
Matrimonio deriva dal latino matrimonium, unione di due parole latine, mater, madre, genitrice e munus, compito, dovere – il matrimonium era nel diritto romano un “compito della madre” di allevare accudire Analogamente la parola patrimonium indicava il “compito del padre” di provvedere al sostentamento della famiglia.
Ecco. Se dovessimo dare un nome alle cose, le cose non stanno più così da tempo.
Finalmente anche le madri provvedono al sostentamento economico della famiglia e ci sono sempre più padri che si occupano in modo eccellente della quotidiana crescita dei figli, fino ad oggi delegata alla granitica e romano/ottocentesca Mater.
Le sovrapposizioni dei ruoli sono meravigliose ma presuppongono avere il coraggio di attualizzare i dizionari.
Non solo i dizionari. Anche una visione più vera e sincera di cosa si intende per Famiglia.
Ed essendo la famiglia un gruppo di persone che in scelta libera convivono legate dal sentimento e dalla progettualità, che venga data la possibilità di scegliere in libertà la propia progettualità.
Lo Stato deve svincolarsi da miopi tradizioni e guardare in modo contemporaneo la realtà.
Poi, contemporaneo…mi sto già sul culo da sola…contemporaneo un cazzo.
Come se i rapporti fra sessi diversi fossero un fenomeno anni novanta…
Diciamo che, in imperdonabile ritardo storico, vengano dati gli stessi diritti e doveri a qualunque tipologia di essere umano.
Vado su tutte le furie quando qualche moderato, cauto e paziente, sostiene che è saggio prendere a pezzi ciò che ci è dovuto: “Intanto prendiamo il riconoscimento dell’unione, reversibilità della pensione etc…per l’adozione… aspettiamo un po’”.
Aspettiamo cosa? Se il criterio è il civile riconoscimento del nostro diritto di poter scegliere, questo criterio non può essere rateizzato.
Va riconosciuto e basta.
Attualmente il modello eterosessuale è l’unico che ha il diritto di essere famiglia.
Molto bene. Ora divento stronza.
Vogliamo ricordare le percentuali di fallimento di questo unico modello? Vogliamo rievocare lo strazio comportamentale con figli presenti a rotture drammatiche? I conflitti crudeli quanto incivili?
È forse la diversità strutturale dei genitali genitoriali, garanzia di un modello che funziona? No.
Ma (mi placo) la natura umana si muove per tentativi. E’ giusto che una coppia eterrosessuale provi, fallisca, funzioni
“Chi non sbaglia, non sa” diceva mia nonna Tolo.
E che ci siano spose coperte di Macramè che sognano le damigelle vestite da concorrenti della Clerici, che ci sia il Papa che sostiene essere impercorribile l’ugualianza dei diritti e che ci siano coppie di uomini e donne che siano liberi di accudirsi, sostenersi e adottare figli.
Io ne conosco molte. E’ tale l’attenzione data all’animo dei figli in una società ostile al legame omosessuale, che tali genitori, mi sia concesso, sono fra i genitori migliori che conosca.
Cominciamo ad educare il figli a non deridere i “froci” e nessun figlio di “froci” soffrirà della propria struttura familiare.
Cari i miei superprivilegiati sposini “regolari”…

Quale era la domanda? Già… come chiamiamo questi neo/matrimoni…
Unioni, legami, progetti di vita, vita insieme. Vita.

PS: Mi premeva fare un “focus” su questo tema, ma desidero sottolineare che esistono “coppie di fatto” eterosessuali che tuttora subiscono discriminazioni.
Usiamo d’ora in poi l’acronimo LGBTE (Lesbiche Gay Bisessuali Transessuali Eterosessuali). 3125556-9788817081009
Laddove vi sia ostilità alle sigle, propongo il termine INTERSEX.
Che non sia solo un termine, ma un inizio.
Cosicchè coloro che scelgono in modo libero la propia sessualità avranno un nome.
Tutti insieme. Stiamo insieme. E’ la cosa più giusta.

Consiglio questo libro di Sebastiano Mauri
È appassionato, vivo, lieve e non lieve.

 

 

 

Fonte: Words in Freedom

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